Sua Santità, Papa Francesco, ci ha lasciato in questo lunedì di Pasqua, a 88 anni, dopo dodici anni di un pontificato dedicato a curare le fratture del mondo ed a riavvicinare tra loro i popoli e gli uomini, indipendentemente dalla loro fede, la loro confessione e la loro nascita.

Il 266° papa romano fu il primo a non venire dall’Europa ma da un continente e da una congregazione che fino ad allora non avevano dato nessun successore a Pietro; il primo anche a scegliere il nome di San Francesco d’Assisi – tutela che nessuno aveva preso prima di lui, perché nessun papa prima di lui aveva incentrato, a tal punto, il suo ministero sulla figura del povero, del vulnerabile, dell’escluso.

Dopo Giovanni Paolo II, il papa della speranza, dopo Benedetto XVI, difensore della fede, papa Francesco è stato, per molti, il papa della carità, colui che la metteva continuamente in pratica, con un ardore tanto più vivo in quanto la attingeva dalla sua propria storia.

Nato nella capitale argentina il 17 dicembre 1936, Jorge Mario Bergoglio fu allevato da un padre ragioniere e impiegato delle ferrovie, figlio di migranti piemontesi rovinati dalla crisi del 1929, e da una madre che vegliava sui suoi cinque figli. Intorno a lui brulicava la Buenos Aires degli anni ’50, tra lusso e miseria, estesa, nel suo sguardo di bambino, tra due poli, il negozio di alimentari di sua nonna Rosa in cui a volte giocava a far da commesso con il grembiule bianco, e la chiesa in cui serviva la messa in cottina immacolata.  Fu qui che a 17 anni ebbe la rivelazione della sua vocazione, l’impressione indimenticabile che qualcuno lo stesse aspettando. La sua passione per il calcio, il tango, la poesia, lasciò allora il posto ad un’erudizione sempre più studiosa, sempre più teologica, fino a quel giorno di dicembre 1969 in cui fu ordinato sacerdote.

Sullo sfondo di tensioni populiste e dittatoriali, di fronte al proselitismo delle sette evangeliche e al vigore dei teologi della liberazione, padre Bergoglio trovò la propria strada, tornando ai valori ignaziani fondamentali.  Quando fu nominato a capo della Compagnia di Gesù argentina, costituì una squadra di missionari che inviò nelle regioni più disagiate del suo paese e quando fu nominato vescovo poi arcivescovo di Buenos Aires da Giovanni Paolo II, continuò a parole e in azioni ad instillare la stessa perpetua preoccupazione della fragilità, dei margini e delle periferie.

Il suo pontificato fu fedele a questo apostolato di prossimità. Qualche mese dopo la sua elezione, nel giugno 2013, andò a raccogliersi a Lampedusa, come più tardi a Lesbo, a Cipro, denunciando la mondializzazione dell’indifferenza e l’anestesia delle coscienze. Fu ancora questo il messaggio che portò a Marsiglia nel 2023 nel corso di una messa che riunì, nel Vélodrome, quasi 60 000 francesi.

Sosteneva una Chiesa accessibile, una comunità radicata nell’apertura evangelica e ne dava l’esempio quotidiano, negli umili 50 m2 che occupava a Casa Santa Marta, con una grande semplicità di cuore.  

La sua azione per lottare contro gli abusi sessuali nella Chiesa fu esemplare, iniziativa di verità in linea con quella del suo predecessore, Benedetto XVI.

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